“Se è vero che l’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli, tuttavia tale diritto è disponibile e, così come può essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico (cfr. Cass. 21/06/2017 e n. 15382), del pari può anche essere oggetto di rinuncia anche attraverso una remissione tacita del debito.”
Il principio di disponibilità del diritto al compenso per l’amministratore viene enunciato ed analizzato da ultimo dall’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 22820 del 12 settembre 2019,
L’amministratore, anche socio di una S.r.l., dopo aver ricoperto, per 14 anni, l’incarico di consigliere e 4 anni dopo le sue dimissioni, reclamava il compenso pregresso; tuttavia la Corte, per le ragioni di seguito illustrate, ha respinto tale richiesta ravvisando una rinuncia del medesimo al compenso per comportamento concludente.
Il ricorrente sosteneva che non dovessero essere intesi quale rinuncia tacita al compenso (i) né la mancata richiesta dello stesso per la durata del mandato, (ii) né il fatto che egli, in veste di socio, avesse approvato i bilanci annuali partecipando pro quota alla distribuzione degli utili. Di contrario avviso la Cassazione che, anche sulla scorta di quanto previamente stabilito dalla Corte di merito, ha interpretato la condotta tenuta dall’amministratore quale rinuncia, poiché “Sebbene, poi, la rinuncia non è desumibile sic et simpliciter da un mero comportamento inerte dell’amministratore (inerzia o silenzio), atteso che è necessario un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà abdicativa (cfr. Cass. 03/10/2018 n. 24139) tuttavia, nel caso in esame, la Corte di merito, (…) ha ricostruito la condotta tenuta dal F. in un arco temporale assai consistente e fino alle sue dimissioni, e ne ha tratto il convincimento che, con comportamento concludente, egli avesse inteso rinunciare a reclamare il compenso per la lunga attività svolta quale amministratore della società di cui era anche socio. […] La Corte [di merito] nel rammentare che il compenso dell’amministratore – il cui incarico non era stato previsto come gratuito – doveva essere concretamente determinato dall’assemblea dei soci, di cui lo stesso F. era partecipe quale socio fondatore, ha accertato che mai, prima della liquidazione della società, questi aveva chiesto che fosse posta all’ordine del giorno la determinazione dello stesso, come pure avrebbe potuto e dovuto.”
La ricostruzione della condotta ad opera della Corte dunque “non si limita alla mera valutazione dell’inerzia ma prende in considerazione contestuali condotte qualificanti e significative ricostruendo secondo canoni di ragionevolezza ed alla luce della buona fede nello svolgimento del rapporto la condotta tenuta come rinuncia tacita (cfr. per un caso analogo Cass. 20/02/2009 n. 4261).”
La condotta, qualificabile come omissiva/passiva tenuta per un così ampio lasso di tempo, unitamente alla mancata richiesta di trattazione di tale argomento in sede deliberativa assembleare, secondo la Cassazione ha pertanto costituito un comportamento concludente dell’amministratore, il quale ha implicitamente rinunciato al compenso attraverso una remissione tacita del debito.
Su tale questione si è espressa anche la precedente Ordinanza della Corte di Cassazione n. 24139 del 3 ottobre 2018, trattando un caso per certi versi simile, ma per il quale, pur partendo da medesimi principi, è giunta a conclusioni diverse.
L’amministratore di S.r.l., che aveva ricoperto tale carica per 5 anni, “«per tutta la durata della sua permanenza in carica», […] «non ha mai chiesto alcun compenso ed ha anche omesso di convocare l’assemblea dei soci per deliberare il compenso a lui spettante, sia nel periodo di durata della carica stabilito nell’atto costitutivo (…), sia nel periodo successivo, in cui, scaduto tale termine, aveva continuato a rivestire il ruolo di amministratore». […] «Soltanto nell’agosto del 2007» […] «in occasione dell’approvazione del bilancio del 2006 lo S. che partecipava a tale assemblea in veste di mero socio, contestava per la prima volta il bilancio, pretendendo che fossero accantonati compensi ex art. 17 Statuto».”
Pur confermando la disponibilità del diritto a percepire il compenso per l’incarico di amministratore e la sua rinunciabilità per fatti concludenti (in quanto “una simile eventualità non è preclusa dalla normativa della remissione del debito”), la Corte di Cassazione in questa occasione ha sottolineato che “per leggere in termini di rinuncia un comportamento non sorretto da scritti o da parole o da altri codici semantici qualificati, occorre comunque che lo stesso faccia emergere una volontà oggettivamente e propriamente incompatibile con quella di mantenere in essere il diritto (cfr., tra le altre, Cass., 14 luglio 2006, n. 16125).” e “Un comportamento meramente omissivo risulta, in sé stesso, tutt’altro che inequivoco e, anzi, particolarmente ambiguo.” Anzi, “[…] la mera inerzia ben può esprimere una semplice tolleranza del creditore […] o anche riflettere una situazione di pura disattenzione.”
In tale ultimo caso dunque la Corte ha accolto il ricorso dell’amministratore.